Non ci poteva essere luogo migliore per la presentazione del libro “Disobbedisco” di Giordano Bruno Guerri, che ripercorre l’impresa di fiume di Gabriele D’Annunzio a cento anni dal suo svolgimento. Il luogo scelto è stato il prestigioso Convitto Nazionale Cicognini di Prato, che D’Annunzio frequentò e che è stato scelto da quattro Club Rotary (Pistoia-Montecatini Terme, Prato, Prato “Filippo Lippi”, Pistoia-Montecatini “Marino Marini”) per l’eccezionale evento.

D’Annunzio fu uno dei convittori più illustri del Liceo al Convitto Nazionale Cicognini dal 1874 al 1881. Si racconta di un timido ragazzino dodicenne che varcò la soglia del collegio nell’ottobre 1874 e lì rimase per sette anni, quanto basta per forgiarsi il carattere. Il voto più basso? La media del 7 a filosofia, durante gli anni del liceo, il top è 10 a disegno a mano nell’anno 1879-1880. Era la matricola 53 Gabriele, quella che faceva i capricci per le porzioni scarse di cibo e riusciva sempre a distinguersi fra i compagni, vuoi perché per la sua bravura in classe, vuoi per l’atteggiamento di “insofferenza” verso la vita di collegio. E le punizioni fioccavano.

Giordano Bruno Guerri è scrittore e giornalista e docente di storia contemporanea all’Università di Roma, ma soprattutto è presidente della Fondazione “Il Vittoriale degli italiani”, la fastosa e splendida casa dove D’Annunzio visse. Il “Vittoriale degli Italiani” è un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all’aperto, giardini e corsi d’acqua eretto dal 1921, a Gardone Riviera sulle rive del lago di Garda da Gabriele d’Annunzio con l’aiuto dell’architetto Gian Carlo Maroni, a memoria della “vita inimitabile” del poeta-soldato e delle imprese degli italiani durante la Prima Guerra Mondiale.
Il Vittoriale oggi è una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 180.000 persone, tra cui molti studiosi e appassionati storici.
Il libro “Disobbedisco”, che Guerri ha presentato ad una folta platea di rotariani al Convitto Cicognini di Prato, è una nuova e completa ricostruzione dell’Impresa fiumana e dei suoi protagonisti. Lo scrittore propone nel libro da poco uscito nelle librerie un’interpretazione appassionante e innovativa, aggiornata alla luce dei progressi della storiografia e di nuove ricerche su fonti inedite dagli Archivi del Vittoriale durate alcuni anni.
“D’Annunzio è stato a Fiume – ha detto Guerri – il primo poeta capo di Stato – Il 12 settembre 1919 un poeta, alla testa di duemila soldati ribelli, conquista una città senza sparare un colpo. Vi rimarrà oltre un anno, opponendosi alle maggiori potenze sotto gli occhi di un mondo ancora sconvolto dalla Grande Guerra. Lo scopo di Gabriele d’Annunzio e dei suoi legionari non era solo rivendicare l’italianità di Fiume: il Vate sognava di trasformare la sua «Impresa» in una rivoluzione globale contro l’ordine costituito, e nell’avveniristica Carta del Carnaro, una costituzione avanzatissima, teorizzò un governo della cosa pubblica lontano da quello dello Stato liberale, socialista, fascista.
Per sedici mesi Fiume fu teatro di cospirazioni, feste, beffe, battaglie, amori, in un intreccio diplomatico e politico sospeso tra utopia e realtà. Militari, scrittori, aristocratici, industriali, femministe, sovversivi, politici, ragazzi fuggiti di casa componevano l’esercito del «Comandante», inconsapevoli di quanto avrebbero influenzato l’immaginario del Novecento. Nelle luci e nell’ombra dell’impresa ritroviamo, a distanza di cento anni, molti aspetti del mondo di oggi: la spettacolarizzazione della politica, la propaganda, la ribellione generazionale, la festa come mezzo di contestazione, la rivolta contro la finanza internazionale, il conflitto tra nazionalismi, il ribellismo e la trasgressione”.
Ha concluso Guerri: “Mussolini, che a Fiume tradì d’Annunzio, saccheggiò quell’epopea adottandone la liturgia della politica di massa: i discorsi dal balcone, il dialogo con la folla, il «me ne frego», l’«eia eia alalà», riti e miti: così l’Italia democratica ha voluto dimenticare che la «Città di Vita» fu anzitutto una «contro-società» sperimentale, in contrasto sia con i valori e le idee dell’epoca sia, e tanto più, con quelli del fascismo. Eppure, se molti legionari aderiscono al regime, come Ettore Muti, molti altri furono irriducibilmente antifascisti, confinati o costretti a morire in esilio, come il socialista rivoluzionario Alceste De Ambris”.

D’Annunzio e l’impresa di Fiume: Interclub con lo scrittore Giordano Bruno Guerri al “Cicognini”

Potrebbe anche interessarti